Bambini e adolescenti possono trovarsi a vivere delle situazioni di disagio (ansia, paure, rabbia, difficoltà a scuola, comportamenti aggressivi, profonda tristezza…) che semplicemente “non passano” con il tempo.
Quando la sofferenza o il disagio persistono allora è il caso di contattare uno psicologo e psicoterapeuta in grado di “leggere” le cause e ridefinire la problematica con il bambino o ragazzo e i suoi genitori.
Il lavoro con un bambino, ma anche con un ragazzo, soprattutto se ancora molto giovane, viene fatto in collaborazione con le sue figure di riferimento, cioè i suoi genitori, con i quali, a seconda dei casi e dell’opportunità, verrà stabilito il percorso terapeutico da portare avanti.
In alcuni casi la collaborazione può essere allargata alla scuola, ma anche ad altre figure professionali (pediatra, logopedisti, psicomotricisti, ecc.).
Molti genitori si chiedono: “Ma cosa farà la dottoressa per aiutare mio figlio? È piccolo o taciturno o aggressivo o…”. L’approccio con un bambino si basa sul dialogo, sull’utilizzo di giochi e di disegni e anche dei sogni: esistono molti modi per comunicare con un bambino! La stanza di psicoterapia facilita la relazione con il bambino/ragazzo: a seconda delle situazioni si allestisce uno spazio gioco, per esempio con un tavolo adatto ai disegni ed ai giochi, così come un angolo morbido che sarà di aiuto con i più piccoli.
L'approccio ad un ragazzo, ma anche ad un preadolescente (dai 10 ai 13 anni circa), richiede allo psicoterapeuta una grande flessibilità. Ai silenzi tipici di questa età occorre dare un senso e questo non può più essere fatto con i soli giochi e disegni o solo parlando: sarà dall’incontro terapeuta-paziente che emergeranno i tempi ed i modi necessari, talvolta inaspettati e originali, per comprendersi.
Quando un clinico, sia esso psicologo o medico, lavora con un bambino accade un paradosso: è lui il suo paziente, ma è ai suoi genitori che si deve fare riferimento, soprattutto in una fase iniziale.
Chi si rivolge allo psicologo e psicoterapeuta dell'età evolutiva, infatti, sono i genitori, che chiamano per prendere un appuntamento ed è solo ad essi che viene dato, nonché sono essi che successivamente si fanno carico sia di accompagnare fisicamente il figlio (spesso, ma non sempre e soprattutto non è indispensabile) sia di sostenerne l'incontro.
Almeno in una prima fase si parla del figlio senza che esso sia presente. Spesso al termine del primo incontro i genitori chiedono: "Dobbiamo dire qualcosa a nostro figlio? E se sì, cosa?. Quello che in generale si può dire ai genitori, soprattutto se ai primi incontri ne seguiranno altri con il bambino o ragazzo, è che loro possono, sin dal momento in cui rientrano a casa, parlarne con lui, raccontandogli di aver incontrato "una dottoressa che parla con i bambini che sono o tristi o arrabbiati o confusi o spaventati, che, per esempio, fanno brutti sogni, ecc." ovvero tutte quelle cose che saranno legate al figlio. Nel caso si tratti di un ragazzo la parola "psicologo" comincia già a voler dire qualcosa, allora, a seconda del grado di conoscenza possibile, il genitore può scegliere le parole più adatte per raccontare dell'incontro e anche delle emozioni che ne sono scaturite, perché no?!
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